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Urban | scopia : Cliche' of Paris, Emily Humphries

2012-02-06

Within the Urban|scopia event Emily Humphries presents her Cliche' of Paris photography collection. Together with the public, the curator and poet Gabriele Peritore, Humphries will discuss the complexity of Cliche' of Paris.

Le cliché de Paris: embracing universal form | Il cliché di Parigi: abbracciare la forma universale | Emily Humphries: 7/2- 21/2 2012

from the original text by| brano dal testo originale di: emily humphries

The Cliché of Paris, my contribution to Urban|scopia, was born in a disjointed moment when i found myself, in a sort of revolutionary state, walking in the quiet chill of a parisian march, my heart in pieces and my computer stolen. i had passed a couple of weeks processing my experience, searching for my part, and battling with miscomprehension at my misplaced trust and naivety. thus, it was that i found myself both “lost” and “saved” within this city’s most emptied out and yet and charming of clichés.

Il Cliché di Parigi, il mio contributo a Urban|scopia, e’ nato da un momento frammentato dove mi sono trovata in una specie di stato rivoluzionario, passeggiando nel freddo tranquillo di un marzo parigino, con il cuore a pezzi e con il mio computer ormai rubato. avevo passato un paio di settimane ad elaborare la mia esperienza, ricercando il mio ruolo, e lottando con il fraintendimento dovuto alla mia fiducia tradita e la mia ingenuita’. e’ stato cosi’ che mi sono ritrovata in questa citta’ allo stesso momento “perduta” e “salvata” nel piu’ svuotato e ciononostante affascinante dei cliche’.

At the onset of my final week one day as I passed l’Hôtel de Ville, I chanced to see there, twisting in the wrought-iron, the cold imposing form of a heavy heart. The idea of Paris as the city of love and the irony of this amused me. five minutes later still walking and just before l'eglise Saint-Paul-Saint-Louis, i was confronted by the amusing juxtaposition of two more hearts, this time on stickers winking out at me from the flanks of a public rubbish bin.and so it happened that everywhere i turned in my last week in paris i saw a heart and with my only tool at hand, (my samsung galaxy 1900 phone,) a new quest was born.

All’inizio della mia ultima settimana, passando davanti l’Hotel de Ville mi capito’ di vedere attorcigliato nel ferro battuto la forma imponente di un cuore appesantito. l’idea di parigi come citta’ dell’amore e l’ironia di cio’ mi diverti’. cinque minuti piu’ tardi ancora camminando subito prima della chiesa di Saint Paul Saint Louis mi imbattei dalla sovrapposizione di due altri cuori, questa volta su degli adesivi che mi facevano l’occhiolino dal lato di un cassonetto pubblico. e cosi’ accadde che dovunque guardassi nella mia ultima settimana a parigi vedevo un cuore e con il mio solo strumento, un cellulare samsung galaxy 1900, la mia nuova ricerca comincio’.

For me this week of taking photographs is an intimate portrait of a difficult yet magical time in which i built a deeply personal relationship with my creative self in constant dialogue with a city and it with me. the casual and the crafted, the incidental and the accidental all appeared to me in the form of this most favored cliché, the symbol of sustainability our inter-relatedness, the heart. Whilst the city herself navigated me through her elegant surfaces, i became beguiled with her eternal effervescence. my relatedness was reinstituted with inspiration through the evidencing the endless cry of the human spirit splashed up symbolically on cakes, in shop windows, on lampposts and carved on trees. Everyone wants to talk of love, find or express a unity. despite this cry for joy from others i still left paris feeling vulnerable. It was however through this creative process that i discovered a new layer, a methodology, a language; rich with the idea of integration and it struck me what better icon to represent the metropolis than this one? within it we may find the profound language of coming together, turned up loud, faceless yet encompassing all with the volume of a cliché.

Per me quella settimana di riprese fotografiche e’ un ritratto intimo di un periodo difficile ma magico nel quale ho costruito un rapporto profondamente personale con la mia creativita’ in costante dialogo tra me e una citta’ e la citta’ con me. Il casuale e l’artefatto, il casuale el’accidentale tutti mi sono apparsi nella froma di questo cliche dei piu’ fortunati, il simbolo della sussistenza stessa della nostra inte-relazionalita’, il cuore. mentre la citta’ stessa mi conduceva per tutta la sua elegante superficie, ero incantata dalla sua eterna effervescenza. La mia capacita’ di rapportarmi veniva ricostruita dall’ispirazione attraverso il palesarsi del continuo grido dello spirito umano sbattuto simbolicamente su torte, nelle vetrine dei negozi, sui lampioni e intagliato su tronchi. ognuno vuole poter parlare d’amore, trovare o esprimere un’unita’. nonostante questo grido di gioia dagli altri io lasciai parigi ancora avvertendo la mia vulnerabilita’. Pero’ e’ stato attarverso questo processo creativo che ho scoperto un nuovo strato, una metodologia, un linguaggio; arricchito dall’idea di integrazione e mi colpi’: quale icona migliore per rappresentare la metropoli che questa? in essa possiamo trovare il linguaggio profondo di ritrovarci, ad alto volume, senza volto ma abbracciando tutto con il volume di un cliche’.

©emily humphries 2012/ translation from english by r.summo-o’connell

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